Non mi curo più di cercare un happy ending

Mi rimbocco le coperte mi leggo le fiabe
ognuna comincia con un se.
Se soltanto non fossimo sopravvissuti al fungo atomico
se soltanto non avessimo tracciato ogni essere vivente,
a penna, sulla cartografia che diremmo insorgente
se solo le nostre conversazioni fossero rimaste fantasie
se solo avessimo utlizzato male il tempo che ticchetta
a non martellare senza pietà la nozione del tempo stesso,
schiacciato fra il lavoro insubordinato e quello che non –
se non canticchiassi mai canzoncine di protesta
dietro le mura di cinta – d’insicurezza.
Se non ci svegliassimo di soprassalto dopo una serie di incubi
senza mostrarci  le nostre cicatrici per leccarcele a vicenda
e lasciarci sullo stendino un po’ soli a farci piovere addosso,
se ci fossero soltanto fan  dei fotogrammi
nati nelle sitcom e mutilati  nei drammi
tra file di popcorn e manciate di poltrone.
Leggo ancora molte fiabe senza fine –
non mi curo più di cercare un happy ending
né di ipotecare il presente.