Scrivere viene faticoso e spontaneo

Scrivere viene faticoso e spontaneo
neanche fosse una palla di catarro e malessere
da espettorare con le arterie in fiamme a colpi di tosse acida
è la corrosione autodistruttiva che sminuzza a poco a poco
a partire dal mal di stomaco del tutto psicosomatico
senza sapere se detestare di più il dolore fisico
le emozioni le situazioni che ne sono causa
oppure la voglia di appallottolare le ossa altrui
e gettarle nel cestino assieme alle copie più brutte del solito.
E’ fare gomitoli di catastrofe per non perdere il filo
è perdere il filo e farne una catastrofe
mentre prendono a zampate la sfera emozionale
senza poterla stringere a sè per non far fischiare un fallo di mano
nella pressione sociale della calciopoli.
Le linee rosse cerchiano errori sui fogli e sui polsi,
alcuni si riscrivono, si cicatrizzano, altri cascano nei pozzi
ma se è quello dei desideri o dei sogni irrealizzabili
si può scoprire soltanto a posteriori:
tutto questo pare sia una reazione chimica
fra fogli bianchi penne e neurotrasmettitori.
Non voglio non voglio non voglio schiattare in corpo
di cirrosi empatica
che ormai mi alzo alle cinque del pomeriggio
passando la notte insonne a lacerare la s/volta celeste
con una catenina elettrizzante di fili di cotone
e se mi sveglio la mattina vado a intingere la penna
nella rugiada dei segnali stradali
che ormai ho finito pure l’inchiostro antipatico
che ormai i castelli per aria li voglio in calcestruzzo
che ne ho abbastanza della liberale tolleranza
di incrinarmi le costole.
Ri/parto da me senza biglietto e fogli di via
con una valigia di tetrapak e un profumo da discount.
Non ci sarà nessuno a salutarmi e nemmeno io,
viaggerò seduto sul sedile posteriore
a disegnare sulla condensa del finestrino.
Non aspettatemi.

Non mi curo più di cercare un happy ending

Mi rimbocco le coperte mi leggo le fiabe
ognuna comincia con un se.
Se soltanto non fossimo sopravvissuti al fungo atomico
se soltanto non avessimo tracciato ogni essere vivente,
a penna, sulla cartografia che diremmo insorgente
se solo le nostre conversazioni fossero rimaste fantasie
se solo avessimo utlizzato male il tempo che ticchetta
a non martellare senza pietà la nozione del tempo stesso,
schiacciato fra il lavoro insubordinato e quello che non –
se non canticchiassi mai canzoncine di protesta
dietro le mura di cinta – d’insicurezza.
Se non ci svegliassimo di soprassalto dopo una serie di incubi
senza mostrarci  le nostre cicatrici per leccarcele a vicenda
e lasciarci sullo stendino un po’ soli a farci piovere addosso,
se ci fossero soltanto fan  dei fotogrammi
nati nelle sitcom e mutilati  nei drammi
tra file di popcorn e manciate di poltrone.
Leggo ancora molte fiabe senza fine –
non mi curo più di cercare un happy ending
né di ipotecare il presente.

Resistere esistere persistere

Stanco
e stressato
lavoro penso troppo
sono arrabbiato tutto il tempo
la colpa è tutta mia
perchè potrei fare di più
ma sono privo di energie e frustrato

adoro le liste
quindi elenco quello che faccio
soltanto per me,
per me

grazie a me
per piangere
finché non sprofondo in un valle di lacrime
risucchiata in un paio di salviette
e il tempo che spendo con la testa annebbiata
col pilota automatico per non schiantarmi
per il cibo che richiede poco tempo
per essere preparato e ingurgitato
per il web che navigo galleggiando come un morto
gli aggiornamenti vaghi, gli errori
per non tenermi sempre tutto dentro
per la ricerca di attenzioni.
Faccio del mio meglio.

Avevo conosciuto due persone
la ragazza che non sono
il ragazzo che pensavo di non poter essere
ma poi ho deciso di emanciparmi
anche se non esistono centri antiviolenza
per proteggere uno da sè stesso
non esistono, no
la normalità è incoscienza
mi manca e non m’interessa
che l’ultima democrazia si impicchi
con le budella dell’ultimo sociologo
sono ancora vivo
sono ancora qui.

L’autostima è una truffa da telemarketing

Ho paura.
E schifo gli eterni coraggiosi.
Perché ho paura persino
di fare una carezza.
Di uscire fuori dal portone del palazzo.
Delle grate sui marciapiedi.
Degli insetti.
Quando porto le chiappe in piazza
ho paura che i sassi lanciati
mi ritornino dritti in fronte.
Non ricordo mai i nomi.
In mezzo a tutti quelli dai discorsi grandi
ho paura di sbagliare teorie e congiuntivi.
Quando sono emozionato balbetto.
i migliori saranno anche folli,
ma io mi sento soltanto pazzo
senza nessun particolare talento.
Non sopporto le anime belle
con le vite di cristallo
che poi sono vetri sotto i piedi
ficcati nella carne.
M’innamoro degli sconosciuti
per poi scartarli quando li conosco meglio.
Non ho mai messo le corna a nessuno
in compenso tradisco le aspettative.
Dentro e fuori questa stanza
non c’è altro che tempesta
e l’autostima è un’enorme truffa
da telemarketing.

Non sono

Non sono
non sono un’altezza un peso
non sono un sesso, un genere
una casella in un modulo.
Non sono il posto dove vivo. dove sono nato.
non sono tutti quei luoghi dove sono stato,
ma quelli verso cui vado.
Sono il mio vero nome,
quello che mi sono scelto.
Sono i libri di cui amo l’odore,
i film che non oso vedere,
sono ciò che mi imbarazza,
le persone che mi piacciono,
il profumo delle patate nel forno:
le mie battute che non fanno ridere,
ed anche le stupidaggini divertenti.
Sono un milione di piccole cose,
ma evidentemente ognuno sceglie
di vedere il milione di cose
che non sono.