Cambiamenti

Non mi piacciono i cambiamenti
non mi sono mai piaciuti

Cambiare è terribile
mi toglie il fiato, mi tremano le gambe
se cambiano i piani all’improvviso
se cambia il cibo sul piatto
se cambiano i conoscenti
se cambia il posto delle chiavi
poi ogni cambiamento è uno sconosciuto
non ha nemmeno le caramelle
arriva all’improvviso
e ti mette una mano sul collo
gli abbracci finiscono
le stanze si abbandonano
le nuvole si spostano
le macchie si smacchiano
neanche i calzini sono permanenti
pure i calzini si cambiano.
La certezza esce fuori di casa
un messaggio per avvisarti non lo manda mai
(e voi vi lamentate degli adolescenti)
la paura però la dimentica sul tavolo
mi lascia chiuso dentro
e mi lascia solo
e mi lascia solo, in piedi,
come gli ospiti male accolti
come me che se gli altri non si siedono
non mi siedo neanch’io,
con il fazzoletto bianco in mano
quello dell’addio

Vorrei che niente cambiasse mai
che ciò che funziona continui a funzionare
ma ciò che funziona prima o poi si rompe
e quando si rompe, è chiaro,
si deve cambiare

Ciò che mi rimane, in paradosso,
è la certezza che devo cambiare
E così preferisco i cambiamenti piccoli piccoli
l’affetto che non so reciprocare
le idee che si insinuano sulla punta della lingua
entrare di soppiatto sul tetto del mondo
correre solo, accendere il fuoco, prendere il volo

Blues per un fisico teorico

Papà aveva un’astronave bianca e rumorosa
modello volkswagen golf
lui pilota e io comandante
una volta al mese
prendevamo l’autostrada per il cosmo
per atterrare dopo cento chilometri circa

Base, base, mi sentite?
sono sceso dalla navicella.
Nel farlo ho flirtato con la gravità
(che è un modo carino per dire
che sono inciampato).
Questo mondo è così verde
ho una farfalla sul naso
e le formiche superstiti del mio passo
mi fanno alpinismo sulle scarpe.
Ci sono animali con le mie stesse proporzioni
che gesticolano agli oggetti, mentono
e fanno altre cose che non capisco.
Il pilota dice che sono discorsi da adulti.

Base, siete ancora lì?
In punta di piedi su un sentiero di pini, o sdraiati sui sedili
sono luoghi per bimbi, amanti, scienziati e poeti
ammesso che ci sia differenza
tra me e la luna in corsa o da fermo
c’è sempre la stessa distanza
e vedo che incede il cielo che avanza
e poi torno a terra a passo di danza
di nuovo di corsa a cambiarsi ad avvolgersi nelle lenzuola
che il giorno dopo è l’ennesimo giorno di scuola.
Houston, nessun problema.

Ero e sono un animale strano.
Elenco, ordino, catalogo gingilli, persone e pensieri,
fisso lampade, centravanti e violini,
i fiori, i disastri, i mulinelli nei lavandini.
Il mio migliore amico è il temporale
quando bussa apro le persiane
qualcuno urla che entra l’acqua
e io rispondo: beh, l’eleganza ha un prezzo
(ma l’eleganza non asciuga i pavimenti).

Ho smesso con ogni parrocchia,
la domenica sto a messa in discussione.
Vivo ancora su un altro pianeta
sui gradini di una scala armonica
note di amore e matematica
in una melodia al di là del visibile
dove gli errori si chiamano dati
dove gli incidenti si chiamano scoperte.
Sono figlio dell’atomo e l’universo è in costante espansione.
Come la tenerezza.

In porta

Se fossi un calciatore
sarei senz’altro un portiere
un guastafeste che disseziona da lontano
il momento concitato dello scontro.

Gioco per una squadra
che non mi concede il suo colore.
Mi porto due disgrazie sulla schiena
quella d’essere il numero uno
e la pretesa di toccare la traversa
restando cogli scarpini per terra.
Se non ci riesco mi sento piccolo.
I riflettori m’accecano e m’imbarazzano
e sono solo al mondo, schivo a fondocampo.

Non cercatemi nelle formazioni,
sempre dalla stessa parte mi troverete.
Non cercatemi tra le figurine:
il mio posto nella storia non è fare gol.
È impedirlo alla maglia sbagliata.

 

Tutto quello che ho

Tutto quello che ho
è il mio sguardo miope e astigmatico sul mondo
(che, comunque, vede meglio di tanti altri)

Tutto quello che ho
è il mio corpo scomodo
imponente, fragile

Tutto quello che ho
è un etto e mezzo di feroce sarcasmo
non di più, non di meno

Tutto quello che ho
è una macchina analitica
che sfreccia nella mia testa
senza assicurazione

Tutto quello che ho
è la paura che m’accompagna
di non riuscire, di non capire
essere solo, essere vivo

Tutto quello che ho
è il mio assoluto talento
nell’essere inaffidabile
e un po’ eremita

Tutto quello che ho
è una betoniera di frasi coraggiose
nella mia bocca impastata
e un esercito di fotografie nel miocardio
che come un diaframma troppo aperto
illuminato a lungo
conosce croce e delizia
della sovraesposizione

Tutto quello che ho
è il gomitolo delle braccia che mi amano,
in bilico tra nebbia e catarsi,
in questa giornata di sole

L’umanità è una pessima ingegnera

Portiamo a termine elaborati calcoli matematici
per risolvere i problemi di tutte le geologie
e poi quando il ponte siamo noi
con improbabile inattendibile fiducia diciamo cose come
sì posso sopportare tutto
poi crolliamo

sventriamo le macchine e sostituiamo i pezzi per via dell’usura
e ci stupiamo come bambini di fronte
all’esigenza di cambiare

e nel timore di sbagliare prendiamo misure così precise
da spaccare il capello quasi frattalmente
per poi valutarci nei riflessi distorti degli specchi dei luna park
esprimiamo così, insicuri di noi,
giudizi sommari fino al millimetro

ci guardiamo
ci diciamo
abbiamo sbagliato tutto
facciamo dunque un mucchio di stronzate
eppure nei giudizi negativi non esistono mai
errori di valutazione

nel paradosso che non ne azzecchiamo una,
ma nell’autodistruzione non ci sfugge un dettaglio
posso dire
l’umanità è una pessima ingegnera