mettono a fuoco due volte
il nervo ottico traina le immagini
compongono quindi
di roghi
Entropie readymade e disobbedienza incivile
Non ho dormito neanche stanotte
non riposo bene da un sacco di tempo
da quando una donna mi tiene sveglio
mi ricorda ogni fallimento e insicurezza
con solerzia un tantino maniacale.
Ha un potere così forte, lei
che gli altri diventano bamboline possedute
e stretti nei loro fili di burattino
dicono che la colpa è mia che non mi impegno per superare tutto questo
(e finisco per crederci pure io)
mi saluta un tale, ma chi t’ha mai visto
buongiorno signore, muori
ci sarebbe voluto un sorriso di circostanza
ma mi mancava l’ingrediente principale
(e comunque cucino male)
c’è una bicicletta da corsa in un vialetto bianco
legata a un lampione spento luccicante sotto un cielo rosa
una cornice coi pedali è irreale
proprio come mi sento io seduto in una saletta d’aspetto
a calcolare il tempo che ci metterà quel vaso di pianti rampicanti sopra il mio cranio
a frantumarsi nelle mie cornee, ora che ho passato molto tempo sopra di me
a fissarmi nello spazio vuoto
a fissarmi nello spazio,
vuoto
piccolo infarto che mi scalci furioso nel petto,
mi sottraggo a te – respiro lentamente, pare che mi aiuterà
ma inghiotto ossigeno come fosse melatonina
affondo le unghie nella lavagna trascinandole come reti da pesca
via, due dite nella presa della corrente per farmi folgorare dalla sensazione
di dover mandar giù lacrime che non ho nemmeno ancora versato
e ogni volta scordo di fare i biglietti per il treno
dei pensieri di merda
ma lei mi ricorda sempre:
offro io
e sono alla stazione quindi, mi tengo sveglio nell’attesa anche qui
e alla biglietteria mi tengo lontano dalla coda delle facili soluzioni
e mi chiedo, mi chiedo chissà se ai passeggeri del titanic l’hanno mai detto
cerca di non affogare.
Forse ti senti dubbiosa sul tuo genere
incerta sulla tua sessualità
sul perché i tuoi genitali non assomigliano a quelli altrui
o sul perché quelli altrui non ti interessano poi molto.
Oppure svariate di queste cose, simultaneamente.
Oppure nessuna.
Magari non ti accetti nemmeno. E ti odi anche.
Esistono almeno tre cappi in fila per te:
una croce, un contratto ed ogni sguardo che non sia il tuo.
Però se togli il cappuccio potrai notare dei cacciaviti;
prendine un bel po’, soltanto il fai da te
smonterà questo cazzo di patibolo.
Ho dei suggerimenti per te:
rivendica con forza
scrivi la tua storia, nei tuoi propri termini
renditi visibile, mostra la tua parte gaia – ma anche quella angosciata,
scegli il tuo discorso più infiammabile
prendi un fottutissimo accendino e dagli fuoco.
Fai apologia di te stessa,
sii carino: cis-positive ed hetero-friendly,
diventa malattia socialmente trasmissibile
proteggiti da quelle che lo sono sessualmente.
Tu. Tu laggiù nell’angolino.
Tu che detesti le immigrate, le travestite, le promiscue, le escort:
non vuoi marciarci assieme d’estate.
Ma erano loro a salvare il tuo culo bianco
un luglio newyorkese di tanti anni fa.
Continua pure a bere caffé israeliano in un pub dove non possono entrare;
alzerai un muro e ne sosterrai un altro, che ti piacerà,
perché sarà rosa come i tuoi acquisti, rosa shocking, scioccante:
lo stesso colore della tua indifferenza.
E tu invece, piccola adorabile frocia,
sappi che l’unico luogo dove dominati e dominanti
si scambiano di posto volentieri,
non si chiama patriarcato:
si chiama darkroom.
Ti aspetto lì.
Cyborg, robot ed altri conflitti di corpi e tecnica
hanno spesso la mia adorazione, perché, in fondo, lo sono anch’io
altrimenti non saprei spiegarmi
com’è che mi ossido così facilmente e velocemente
che tutte le mie magliette nere – cioè tutto il mio armadio,
si ricoprono di scaglie che si fanno corazza:
una meraviglia di esoscheletro più o meno albino
realizzato saldando imbarazzo e patologia autoimmune.
Ho una strana configurazione che mi consente di interagire
soltanto con qualcosa di programmabile,
fatta eccezione per impegni e felini;
eseguo soltanto ordini precisi, stupido come un computer
ma solo quando mi va, furbo come un anarchico.
Con questo mio contenitore di metallo rosa chiaro
posso viaggiare pensare urlare creare,
dare e ricevere orgasmi, prendere il mio pianeta a schiaffi
e costruire navicelle spaziali, per raggiungerne uno
dove sarò il risultato di rapporti di ri/produzione
fatti di solo affetto sessuato senza biopolitica spicciola,
dove gli appuntamenti al buio tra me e la mia (r)esistenza
non mi ricoprano di psicosomatismi da stress,
ma di rossetto e lotta di classe.
Purché sia con stile.
Relazione seria e normalizzata cercasi
solo maschili italiani e col portafogli gonfio
che mi portino in braccio, per sempre:
esattamente come un ergastolo.
Colonizzazione e imperialismo gay
si può, in fondo baby, you’re born this way
ma scegliamo bene i colori delle divise.
Diventiamo militari, combattiamo per la patria
otteniamo pure le briciole di questo pasto a base di merda
fatemi perquisire da un poliziotto e non da una poliziotta,
chi mi pesterà per ammazzarmi, non per farmi godere
ma ti dico che per me le mimetiche di qualsiasi provenienza
non fanno pendant con la bandiera arcobaleno,
e poi nel mondo che mi porto nel culo
non c’è traccia di sorveglianza.
Ed è per questo che quando mi chiedono
se sono uomo o donna, rispondo: frocio.
Non ho un cazzo fra le gambe: sono frocio.
Amo una donna e amo un uomo,
e chi non è donna e non è uomo: contemporaneamente,
sono bisessuale e poliamoroso: sono frocio.
Un banchiere che scopa con un capo di stato è gay:
un pompino sulle barricate è frocio.
Capitalismo sostantivo maschile
voce verbale del verbo schiavizzare,
è un uomo bianco come me
celebrate questo matrimonio omosessuale:
fiori d’arancio, lo spread che sale
dietro l’altare il sogno e un conto mai in rosso:
c’è solo un dio palestinese ma biondo
e vi ama se consumate:
la prima notte nel vostro letto,
e tutte le altre in un centro commerciale.
Abbiate fedi.