Era già vespro inoltrato quando il prode Den Cuor di Bruschetta stava tornando allo stato di coscienza dopo tre intense ore di pennichella, compensative della notte precedente, spesa in insonnia e vaneggiamenti di carattere discutibilmente filosofico. Egli, con ciavatte e spada sguainata, si apprestava a inserire l’apposito chiavistello in quell’artifizio che gli abitanti della Terra di Kondomynio solevano chiamare “buca delle lettere”. Per qualche ragione,questa non voleva aprirsi. Era forse un sortilegio? Il triste divenire di un doloroso fato? Forse non lo sapremo mai. Ciò che sappiamo è che il cavaliere si vide costretto al cavalleresco estremo gesto di piantare le sue temprate nocche di guerriero in quell’ammasso di polvere e lamiera ch’aveva l’assurda pretesa di essere una ragionevole modalità di telecomunicazione. Le sue dite raggiunsero la preziosa missiva. La pergamena era racchiusa da un involucro senza mittente, presentava numerosi errori grammaticali e mischiava elementi di stampa con frettolose aggiunte d’inchiostro. Ohibò! Anche il peggiore dei bifolchi di Kondomynio avrebbe saputo vergare un manoscritto più degno. L’eroe, resosi conto del contenuto della missiva, che risultava essere l’ingiunzione di un essere misterioso detto Procuratore Stragiudiziale, aveva bisogno di un consulto. Immensa era la sua confusione: il termine non esisteva in nessuno dei dizionari del Regno. Un breve incontro con il Vecchio Saggio lo mise al corrente della reale natura di quell’oggetto: derubare gli sprovveduti. “Ti ringrazio, Vecchio Saggio”. Il luminare gli chiese cosa aveva intenzione di fare. “Quello che faccio di solito, messere”. Osservò di nuovo la missiva. “Chittesencula, strozzino demmerda!” enunciò con voce grande, mentre la carta finiva nella cesta del lerciume.