inerte, incolore, e freddo
fino ad ustionarti.
Entropie readymade e disobbedienza incivile
Carta batte sasso
sasso batte forbice
forbice batte carta
(tutto chiaro,
conosco il gioco)
carta batte sasso
sasso batte forbice
forbice batte carta
carta batte me
mi è capitato di graffiarmi le dita tra le righe di un romanzo avvincente un saggio coinciso
e non me ne sono lamentato finché non mi è capitata una risma di fogli così appuntiti
da mozzarmi le aspirazioni
usavo forbici a punta arrotondata come da suggerimento
nella vaghissima speranza di non farmi male
ma ora mi chiedo com’è che nessuno mi ha ancora consigliato di sfogliare
banconote e documenti con guanti da lavoro:
quelli tagliano molto più spesso.
Abbracciato da
una canotta, sorrido
compresso
—
Non temo culi
né altro, la merda la
conoscevo già
—
Rumori di noi
di fiamme e glitter,
mi fanno gaio
Tic tic tic tic
questo rubinetto che perde
l’acqua che spreca, per la miseria
che nervoso
ma perché non provi a ripararlo
secondo me ti preoccupi troppo
dovresti pensarci di meno
vedrai che non gocciola più
non ne sono capace, l’idraulico costa
e anche se non ci pensassi affatto
e ogni lavandino fosse perfetto
questo continuerebbe
a non funzionare
sentirò il gocciolio tic tic tic
e il suo eco a distanze chilometriche
quelle gocce mi tormentano
e io non dormo non gioco non sorrido più
se non in quelle poche occasioni
in cui lo stereo sveglia il vicinato
e copre il rumore, dannatissimo rumore
ma il più delle volte capita
che io sopporti
e che per esasperazione
goccioli anch’io.
Scrivere viene faticoso e spontaneo
neanche fosse una palla di catarro e malessere
da espettorare con le arterie in fiamme a colpi di tosse acida
è la corrosione autodistruttiva che sminuzza a poco a poco
a partire dal mal di stomaco del tutto psicosomatico
senza sapere se detestare di più il dolore fisico
le emozioni le situazioni che ne sono causa
oppure la voglia di appallottolare le ossa altrui
e gettarle nel cestino assieme alle copie più brutte del solito.
E’ fare gomitoli di catastrofe per non perdere il filo
è perdere il filo e farne una catastrofe
mentre prendono a zampate la sfera emozionale
senza poterla stringere a sè per non far fischiare un fallo di mano
nella pressione sociale della calciopoli.
Le linee rosse cerchiano errori sui fogli e sui polsi,
alcuni si riscrivono, si cicatrizzano, altri cascano nei pozzi
ma se è quello dei desideri o dei sogni irrealizzabili
si può scoprire soltanto a posteriori:
tutto questo pare sia una reazione chimica
fra fogli bianchi penne e neurotrasmettitori.
Non voglio non voglio non voglio schiattare in corpo
di cirrosi empatica
che ormai mi alzo alle cinque del pomeriggio
passando la notte insonne a lacerare la s/volta celeste
con una catenina elettrizzante di fili di cotone
e se mi sveglio la mattina vado a intingere la penna
nella rugiada dei segnali stradali
che ormai ho finito pure l’inchiostro antipatico
che ormai i castelli per aria li voglio in calcestruzzo
che ne ho abbastanza della liberale tolleranza
di incrinarmi le costole.
Ri/parto da me senza biglietto e fogli di via
con una valigia di tetrapak e un profumo da discount.
Non ci sarà nessuno a salutarmi e nemmeno io,
viaggerò seduto sul sedile posteriore
a disegnare sulla condensa del finestrino.
Non aspettatemi.