Quando la rivoluzione bussa alla porta

Quando la rivoluzione bussa alla porta
la pensi un afflato di tramontana
che porta via con sé ogni ingiustizia

Quando la rivoluzione bussa alla porta
ha l’aspetto dell’inquisitore, dell’impiegato, dell’ufficiale
che con ferma arroganza di legge
ti dice
fine contratto
niente esenzione
sotto sfratto

Quando la rivoluzione bussa alla porta,
ti getta in braccio un fucile
e io che sono sempre così arrabbiato
e io che sono sempre così arrabbiato
contro i ricchi lo stato e tutto il resto
penso: le cose si fanno serie
e il tracciato sismografico delle mie mani
è ampio e vivace quasi quanto il mio sorriso
e la mia ansia

Quando la rivoluzione bussa alla porta
gli alfieri dell’apatia di cui sono figlio
in giardino spiegano animosamente tutto
ai vicini di casa che piangono e urlano
e gli altri chiusi in casa non proferiscono parola
illusi che tutto andrà bene

Quando la rivoluzione bussa alla porta
non pensi mai che lo faccia
con le piccole tragedie
ma le piccole tragedie sono grandi tragedie
e questo non l’ha capito nessuno

Quando la rivoluzione bussa alla porta
non bussa, sfonda senza alternativa
e precipita nella tua vita come potrebbe un aeroplano
prepotente fino alla vittoria.

Apologia

Forse ti senti dubbiosa sul tuo genere
incerta sulla tua sessualità
sul perché i tuoi genitali non assomigliano a quelli altrui
o sul perché quelli altrui non ti interessano poi molto.
Oppure svariate di queste cose, simultaneamente.
Oppure nessuna.
Magari non ti accetti nemmeno. E ti odi anche.
Esistono almeno tre cappi in fila per te:
una croce, un contratto ed ogni sguardo che non sia il tuo.
Però se togli il cappuccio potrai notare dei cacciaviti;
prendine un bel po’, soltanto il fai da te
smonterà questo cazzo di patibolo.
Ho dei suggerimenti per te:
rivendica con forza
scrivi la tua storia, nei tuoi propri termini
renditi visibile, mostra la tua parte gaia – ma anche quella angosciata,
scegli il tuo discorso più infiammabile
prendi un fottutissimo accendino e dagli fuoco.
Fai apologia di te stessa,
sii carino: cis-positive ed hetero-friendly,
diventa malattia socialmente trasmissibile
proteggiti da quelle che lo sono sessualmente.
Tu. Tu laggiù nell’angolino.
Tu che detesti le immigrate, le travestite, le promiscue, le escort:
non vuoi marciarci assieme d’estate.
Ma erano loro a salvare il tuo culo bianco
un luglio newyorkese di tanti anni fa.
Continua pure a bere caffé israeliano in un pub dove non possono entrare;
alzerai un muro e ne sosterrai un altro, che ti piacerà,
perché sarà rosa come i tuoi acquisti, rosa shocking, scioccante:
lo stesso colore della tua indifferenza.
E tu invece, piccola adorabile frocia,
sappi che l’unico luogo dove dominati e dominanti
si scambiano di posto volentieri,
non si chiama patriarcato:
si chiama darkroom.
Ti aspetto lì.

Assunzione di irresponsabilità

Ieri abbiamo avuto molto da fare
stamane sui quotidiani dicono che siamo avventati
dovremmo piantare i semi di un mondo nuovo
prima di dare fuoco senza riserve al presente

avremmo dovuto farlo secondo gli standard
del rapporto sociale mediato dalle immagini
di repubblicapuntoit o di facebook
cosa dirà mai l’opinione pubblica,
oh madonna santa protettrice dei sondaggisti:
rimetti a noi le nostre belle paternali
come voi non le rivolgete alle rivolte estere

forse non abbiamo le parole giuste
forse non abbiamo gli strumenti adeguati
ma d’altronde le stelle dimostrano
che per illuminare la notte del mondo
ci vuole qualcosa che brucia
e per quel che ne so
la cenere è concime.