Una fiaba queer

Una volta, tanto tempo fa, nel regno dell’eterocisnormatività, tante comunità di persone frocie,trans* ed intersex credevano che, se soltanto il mondo avesse conosciuto la verità sul loro conto, esse avrebbero smesso di subire l’iniquità di una vita segnata dall’odio, dalla violenza e dal pericolo; il pericolo di vivere senza il diritto di avere o crescere bambine/i, di avere la protezione della propria incolumità fisica, di poter vivere le stesse opportunità concesse agli altri, come una casa ed un lavoro.

“Non siamo cattive, né perverse, né scherzi della natura. Se sapessero la verità, ci accetterebbero, e questo castello sarebbe ospitale e sicuro anche per noi”. E sospiravano,pensando al giorno in cui avrebbero potuto essere anche loro parte del bellissimo castello che svettava tra le colline del regno.

Ma il sovrano era così assetato di potere da non fermarsi proprio davanti a nulla per consolidare il suo dominio, e decise di utilizzare una delle più potenti armi a sua disposizione: la paura.

Radunò ogni persona presente nel raggio di mille chilometri e raccontò loro che quelle comunità erano in realtà una maschera dietro la quale si celavano pericolosi draghi sputafuoco e mangiabambini. “Quei depravati di draghi portano calore, malattie e disperazione”, gridava il Re. “Se quelle tremende creature riusciranno a guardarvi negli occhi, vi trasformeranno in mucchi di sale, buono soltanto per le bruschette”. Le creature da lui inventate erano così terrificanti che gli eterocittadini scordarono ben presto che i draghi erano soltanto figure mitiche.

L’esistenza dei draghi divenne così una verità incontestabile, sopra la quale vennero edificate molte altre bugie. Ebbe un senso quindi l’inizio, da parte dei sudditi, di sanguinose crociate a suon di teste di drago mozzate. Ogni litro di sangue sparso era accompagnato da emendamenti, leggi, provvedimenti che proibivano ai draghi ogni possibilità di sopravvivenza.

Ogni testa significava altre spade, pugnali, pistole nelle mani degli eterocittadini, inviati dal Sire ad annichilire quella che per loro era una minaccia terroristica.

La verità non ebbe più alcuna importanza: la verità non li proteggeva. Il mito era reale, i draghi erano reali.

Le storie immaginarie della depravazione draghesca viaggiarono di bocca in bocca e l’inesistenza dei draghi sembrava non importare a nessuno. Agli occhi degli abitanti del Regno, la lotta antidrago era una ragionevole forma di protezione da una così orribile minaccia.

E così, i draghi divennero realtà.

Persino le comunità non credettero più nell’appartenenza alla loro stessa specie e incominciarono a sognare di essere degli eterocittadini, pienamente umani.

Sembrarono scordare la loro umanità. Dimenticarono che essere loro stessi non li rendeva draghi, che non erano neanche dei “bravi draghi”. Semplicemente non erano affatto draghi.

Intrappolati in una storia che non era opera loro, frocie, trans* ed intersex ebbero la necessità di ritornare in possesso della loro umanità. Vi era una sola possibilità: ergersi contro le velenose insinuazioni del Sire, o rimanere per sempre disumani.

Vedete, loro sono noi, il regno è questo mondo, il mito degli stati, del capitale e del patriarcato è divenuto realtà, e c’è una ragione per cui questa si chiama fiaba.

Non vivremo per sempre felici e contenti finché non lotteremo per esserlo.

Non sono tuo

Non sono tuo.
Non sono in offerta speciale
non allungarti verso me.
Non cercare di possedermi
a mo’ di proprietà immobiliare.
Possiedimi come spazio condiviso.
In quanto non-oggetto,
sfido chiunque a rubarmi.
Metti da parte l’accumulazione
di capitale affettivo:
non appartengo.
Né fedi né fogli né promesse,
tocca bacia abbraccia fammi tuo.
Ma tuo non sono, e nemmeno d’altri
perciò conservo in me una melodia
dagli spartiti fatti per audiofili
di atri e di ventricoli
per non morire accoppato
per non morire accoppiato.
Non voglio possederti
non sono tuo.

Letture

Come libri invecchiati in biblioteca
dalle pagine ingiallite con rilegatura debole
immobili sullo scaffale
attendiamo di finire
in buone mani
e farci divorare dai topi
incapaci di leggerci
a vicenda.

Dio sarebbe morto (se fosse nato)

Cosa è bene cosa è male, questo conosco di dio;
vita misteri e lutto, questo insegnano di dio.
Eppure in un belvedere da dita in gola
non ci vuole fede, ma fegato
e questo è ciò che so meglio di dio.

L’autostima è una truffa da telemarketing

Ho paura.
E schifo gli eterni coraggiosi.
Perché ho paura persino
di fare una carezza.
Di uscire fuori dal portone del palazzo.
Delle grate sui marciapiedi.
Degli insetti.
Quando porto le chiappe in piazza
ho paura che i sassi lanciati
mi ritornino dritti in fronte.
Non ricordo mai i nomi.
In mezzo a tutti quelli dai discorsi grandi
ho paura di sbagliare teorie e congiuntivi.
Quando sono emozionato balbetto.
i migliori saranno anche folli,
ma io mi sento soltanto pazzo
senza nessun particolare talento.
Non sopporto le anime belle
con le vite di cristallo
che poi sono vetri sotto i piedi
ficcati nella carne.
M’innamoro degli sconosciuti
per poi scartarli quando li conosco meglio.
Non ho mai messo le corna a nessuno
in compenso tradisco le aspettative.
Dentro e fuori questa stanza
non c’è altro che tempesta
e l’autostima è un’enorme truffa
da telemarketing.