Storia

Grandi nomi
incisi nella pietra
nella burocrazia
nelle bombe
eroi statisti principi
con donzelle-patrie
da salvare
e la cuoca di Lenin
sapeva dirigere lo stato
ma intanto restava
in cucina.
Le carte si autocelebrano
in un grosso pompino ideologico:
si scrive storia
si legge mitologia.

Numeri

Conto i peli delle tue sopracciglia
le volte che il tuo petto sale e scende
i ticchettii del tuo orologio biologico
che scorrono fino alla punta delle dita.
Conto le linee sulla tua mano sinistra
stringendola nella mia,
i lassi di tempo lasciati nel comò
che trovo e tiro fuori per tenermeli in tasca
continuando a contare
le maniere in cui mi fai sorridere
i segreti che condividiamo
il numero dei movimenti
quando dormi,
il tuo respiro calmo
a portata d’epidermide:
e quel che è più importante,
è che nessuno può portarmi via
tutti questi numeri.

La nostra amicizia è una falena

La nostra amicizia è una falena
incastrata in un paio di forbici.
Troppo vicini potremmo ucciderla
troppo lontani cesserebbe d’essere
per vicinanza non pervenuta.
La nostra amicizia è una creatura
tragicamente bella
e fragile.

Una fiaba queer

Una volta, tanto tempo fa, nel regno dell’eterocisnormatività, tante comunità di persone frocie,trans* ed intersex credevano che, se soltanto il mondo avesse conosciuto la verità sul loro conto, esse avrebbero smesso di subire l’iniquità di una vita segnata dall’odio, dalla violenza e dal pericolo; il pericolo di vivere senza il diritto di avere o crescere bambine/i, di avere la protezione della propria incolumità fisica, di poter vivere le stesse opportunità concesse agli altri, come una casa ed un lavoro.

“Non siamo cattive, né perverse, né scherzi della natura. Se sapessero la verità, ci accetterebbero, e questo castello sarebbe ospitale e sicuro anche per noi”. E sospiravano,pensando al giorno in cui avrebbero potuto essere anche loro parte del bellissimo castello che svettava tra le colline del regno.

Ma il sovrano era così assetato di potere da non fermarsi proprio davanti a nulla per consolidare il suo dominio, e decise di utilizzare una delle più potenti armi a sua disposizione: la paura.

Radunò ogni persona presente nel raggio di mille chilometri e raccontò loro che quelle comunità erano in realtà una maschera dietro la quale si celavano pericolosi draghi sputafuoco e mangiabambini. “Quei depravati di draghi portano calore, malattie e disperazione”, gridava il Re. “Se quelle tremende creature riusciranno a guardarvi negli occhi, vi trasformeranno in mucchi di sale, buono soltanto per le bruschette”. Le creature da lui inventate erano così terrificanti che gli eterocittadini scordarono ben presto che i draghi erano soltanto figure mitiche.

L’esistenza dei draghi divenne così una verità incontestabile, sopra la quale vennero edificate molte altre bugie. Ebbe un senso quindi l’inizio, da parte dei sudditi, di sanguinose crociate a suon di teste di drago mozzate. Ogni litro di sangue sparso era accompagnato da emendamenti, leggi, provvedimenti che proibivano ai draghi ogni possibilità di sopravvivenza.

Ogni testa significava altre spade, pugnali, pistole nelle mani degli eterocittadini, inviati dal Sire ad annichilire quella che per loro era una minaccia terroristica.

La verità non ebbe più alcuna importanza: la verità non li proteggeva. Il mito era reale, i draghi erano reali.

Le storie immaginarie della depravazione draghesca viaggiarono di bocca in bocca e l’inesistenza dei draghi sembrava non importare a nessuno. Agli occhi degli abitanti del Regno, la lotta antidrago era una ragionevole forma di protezione da una così orribile minaccia.

E così, i draghi divennero realtà.

Persino le comunità non credettero più nell’appartenenza alla loro stessa specie e incominciarono a sognare di essere degli eterocittadini, pienamente umani.

Sembrarono scordare la loro umanità. Dimenticarono che essere loro stessi non li rendeva draghi, che non erano neanche dei “bravi draghi”. Semplicemente non erano affatto draghi.

Intrappolati in una storia che non era opera loro, frocie, trans* ed intersex ebbero la necessità di ritornare in possesso della loro umanità. Vi era una sola possibilità: ergersi contro le velenose insinuazioni del Sire, o rimanere per sempre disumani.

Vedete, loro sono noi, il regno è questo mondo, il mito degli stati, del capitale e del patriarcato è divenuto realtà, e c’è una ragione per cui questa si chiama fiaba.

Non vivremo per sempre felici e contenti finché non lotteremo per esserlo.

Non sono tuo

Non sono tuo.
Non sono in offerta speciale
non allungarti verso me.
Non cercare di possedermi
a mo’ di proprietà immobiliare.
Possiedimi come spazio condiviso.
In quanto non-oggetto,
sfido chiunque a rubarmi.
Metti da parte l’accumulazione
di capitale affettivo:
non appartengo.
Né fedi né fogli né promesse,
tocca bacia abbraccia fammi tuo.
Ma tuo non sono, e nemmeno d’altri
perciò conservo in me una melodia
dagli spartiti fatti per audiofili
di atri e di ventricoli
per non morire accoppato
per non morire accoppiato.
Non voglio possederti
non sono tuo.