Sveglia. In realtà no, non la sento mai. Allungo la mia mano destra verso il telefono, dove mi chiamano per tentare ancora di spillarmi soldi che non ho. Vado a passo spedito in cucina. Nel frigo c’è ancora un sacco di merda, che è quello che uno mangia per vivere, quando deve badare a spese. Apro le persiane, e quelle mi salutano con una brezza leggera e uno sguardo sul mondo. Da quando è arrivata la cementificazione il verde s’è fatto timido: una volta c’era un campetto in terra battuta che già a febbraio si ricopriva quasi interamente di margherite. Ora, senza rami, fuori da questa finestra un uccellino canta sopra un’antenna parabolica. Mi giro per andare a prendere un libro e una persona scende nervosamente le scale. Non ho bisogno di guardarla per saperlo, conosco bene il rumore degli scalini delle case popolari quando li calpesti in fretta. Respiro. Servirebbe una memoria storica per ricordarsi di cosa sia una memoria storica. Un numero imprecisato di esseri viventi muoiono per finire nel piatto o nello sfruttamento altrui. I bambini sono costretti a giocare in parchi giochi per paranoici, molto sicuri e molto noiosi. I poliziotti perlustrano, i giudici sentenziano, i giornalisti scrivono molte idiozie. Il calendario è bugiardo. Oggi non mi sento libero per niente.